NAN GOLDIN
(1953-)
Nan Goldin è una fotografa americana nata nel 1953. Ha iniziato la sua carriera negli anni '70, documentando la vita quotidiana e l'intimità delle sue amicizie e delle comunità underground di New York. Infatti, il New York Times l'ha definita "una fotografa il cui lavoro è una testimonianza della sua vita", poiché ogni immagine ripresa è legata a lei intimamente.
"My camera is as much part of my everyday life as words, food, or sex". Per Goldin la fotografia era un modo di essere nella vita e un’attività incessante.
Le sue fotografie parlano di amore, perdita, dipendenza e identità, catturando momenti crudi e autentici della vita. Nei suoi soggetti trova un modo per esplorare e riflettere sulle complessità della vita umana.
Lo stile snapshot è una caratteristica distintiva della fotografia di Nan Goldin. Il termine "snapshot" ha origini ottocentesche e si riferisce a un'istantanea catturata spontaneamente. Questo stile, che ha trovato ampia diffusione nel mondo della moda, è particolarmente adatto a raccontare il modo in cui Goldin utilizza la fotografia. La snapshot è una fotografia partecipativa, che implica una dimensione più libera e meno codificata, lontana dalle rigide iconografie stilistiche tradizionali.
Le sue foto, apparentemente "badly done", sono private e intime, come dichiara lei stessa: "Fare una fotografia è un modo di toccare qualcuno, è una carezza, è accettazione".
Il mondo della comunità gay e transgender affascinava Goldin, tanto da farle esprimere esplicitamente il suo giudizio negativo riguardo al lavoro della Arbus ritenendolo poco rispettoso della loro identità sessuale. Il lavoro di Goldin come quello di Diane Arbus è paragonabile ad un album di famiglia. In Arbus vediamo una sua visione distante di un mondo inquietante ma da lei idealizzato. Mentre in Goldin vediamo un mondo ai margini di cui lei stessa è parte integrante. A prova di ciò i suoi primi soggetti sono proprio le drag queen con cui lei vive e condivide quel contesto underground.
Un’influenza fondamentale per Goldin è stato Michelangelo Antonioni con il film “Blow Up”, infatti la sua visione ha spinto Nan Goldin a prendere in mano per le prime volte la macchina fotografica e iniziare a scattare.
Caratterizzante di Nan Goldin è lo Slide Show, ovvero una innovazione nel mostrare le fotografie al pubblico. Infatti, negli anni ’80 Goldin sperimenta per le prime volte questa modalità in locali con alcuni amici. Ogni volta cambiava il suo slide show, inventando una nuova forma di espressione. In risposta il pubblico aveva due tipi di reazione: alcuni protestavano chiedendo di togliere le foto e altri invece si complimentavano.
Il suo lavoro più noto è The Ballad of Sexual Dependency (1985), uno slide show composto da circa 700 immagini scattate tra il 1979 e il 1985. In queste foto, Goldin documenta le sue esperienze personali e amorose all'interno della "famiglia allargata" in cui ha vissuto nel quartiere di Bowery in quegli anni, esplorando la sottocultura gay e dell'eroina. Con questo lavoro, ha trasformato l'istantanea familiare intima in un genere artistico e in un'arte fotografica.
A prova del suo legame con il medium fotografico è lei stessa che dichiara: "Pensavo che non avrei perso nessuno se lo avessi fotografato. Le mie fotografie mi ricordano quanti amici ho perduto", confermando così la sua volontà di preservare i ricordi attraverso la fotografia.
Il suo stile diventa un'icona della sua generazione controcorrente e assume un'ulteriore svolta dopo la diffusione dell'AIDS, che mette in discussione la sua fiducia nel potere delle immagini, rendendole chiaro che esse le mostravano solo coloro che aveva perso.
Goldin resta una delle artiste e attiviste visive più leggendarie del XX secolo, celebre e controversa, quanto l’indiscutibile influenza che continua a esercitare su generazioni di artisti.
Ne è esempio la collaborazione realizzata nel 2018 con il brand statunitense Supreme in occasione della collezione Primavera/Estate. Gli abiti e gli accessori sono caratterizzati da tre stampe raffiguranti tre celebri scatti della fotografa.
Inoltre, nel 2022 è stato realizzato “All the Beauty and the Bloodshed” un documentario biografico che racconta la vita di Nan Goldin al quale è stato assegnato il primo premio a Venezia, diventano così il secondo documentario a vincere tale premio.
Nan Goldin ci lascia una visione più aperta del mondo, con meno pregiudizi e più empatia. La sua capacità di catturare l'intimità e la vulnerabilità umana ci invita a guardare oltre le superfici e a riconoscere la bellezza nei momenti più autentici e spesso dolorosi della vita. Con il suo lavoro, Goldin non solo ha documentato la sua esistenza e quella dei suoi amici, ma ha anche offerto un potente atto di resistenza contro l'invisibilità e l'oblio.
Leda e Meri :)