AUGUST SANDER
(1876-1964)
August Sander è considerato uno dei più importanti fotografi ritrattisti del XX secolo. Nato il 17 novembre 1876 a Herdorf, una piccola città industriale della Germania. Sander inizia la sua carriera seguendo le orme del padre, che lavorava come armatore nelle gallerie minerarie. Anche lui lavora per un periodo nelle miniere, dove si avvicina per la prima volta alla fotografia assistendo un fotografo incaricato di documentare il lavoro. Grazie al supporto dello zio, riesce ad acquistare la sua prima attrezzatura fotografica e a organizzare una camera oscura per sviluppare i propri negativi. Durante il servizio militare lavora come assistente fotografo e, negli anni successivi, viaggia attraverso la Germania, approfondendo le sue conoscenze. Nel 1901 inizia a lavorare in uno studio fotografico a Linz, di cui diventerà prima socio e poi proprietario unico. Nel 1910 si trasferisce a Colonia, dove apre un nuovo studio fotografico. Nei primi anni Venti, Sander si unisce al "Gruppo degli Artisti Progressivi" di Colonia e inizia a progettare un catalogo della società contemporanea attraverso una vasta serie di ritratti.
“Antlitz der Zeit: 60 Fotos deutscher Menschen”: è un progetto estremamente ambizioso, che nasce dalla pratica quotidiana di Sander, il quale aveva uno studio professionale dove realizzava soprattutto ritratti, e dalla volontà di documentare nella maniera più oggettiva possibile la condizione di un paese attraverso la rappresentazione dei suoi abitanti. Mette mano quindi ad un grande sogno, quasi una follia, ovvero l’archiviazione del volto dell’uomo tedesco, la creazione di un grande archivio fotografico degli abitanti della Germania, schedandoli per professione, per ceto sociale, per interesse hobbistico, per appartenenza a gruppi sportivi.
All'interno di questo schema, il fotografo stabilisce la regola di rappresentare adeguatamente le diverse generazioni, dai più giovani ai più anziani, senza limitarsi al solo genere maschile ma includendo equamente anche quello femminile.
“Quelli di Sander non sono ritratti, non hanno intenzione psicologica introspettiva, tendono
piuttosto a istituire modelli, a ritagliare tipi, a funzionare, come dice Sander stesso,
archetipicamente”
La sua posa iconica è essenziale e complessa al tempo stesso, rivelando un’identità spoglia, basica, priva di orpelli. Sander cerca uno stile minimalista, un “grado zero” della fotografia, dove il potere della macchina fotografica risiede proprio nella capacità di catturare il reale senza abbellimenti. È l’automatismo della fotografia a creare il massimo straniamento, poiché permette di cogliere il reale nella sua semplice evidenza.
Ogni fotografia possiede infatti un potenziale straniante, perché è, di per sé, un attimo sospeso, un frammento di vita immobilizzato. Questo processo di sospensione, che congela una situazione in un singolo istante, dona alla fotografia la capacità di rivelare aspetti insoliti o nascosti della realtà.
“Nella loro enigmatica frontalità le sue immagini paiono nutrire una smisurata e devota fiducia nel potere straniante già espresso dal mezzo fotografico per il solo suo applicarsi a cose e persone.
Basta porsi a "grado zero" di fronte all'obiettivo perché s'inneschi un ribaltamento straniante del reale, perché la realtà stessa si epifanizzi, apparendo improvvisamente diversa e sorprendente.”
Sander si identifica completamente con la macchina fotografica: non impone prospettive o punti di vista personali, né ambisce a una creatività esibita. A differenza di Nadar, Sander non cerca di firmare la sua opera con tratti distintivi; vuole piuttosto che la forza della macchina fotografica parli da sola. In questo senso, il suo stile risiede nell’idea stessa di come usare il mezzo: uno stile geniale e influente, che ha ispirato generazioni di eredi.
Preferiva sfondi sfumati e strade vuote, dove il soggetto poteva emergere con tutta la sua potenza espressiva.
“Procedura di linguaggio tesa a cogliere epifanie misteriose del reale attraverso la loro
immobilizzazione ed eternazione, vale a dire mediante il congelamento di un attimo di vita che proprio perché fermato, diventa vero, irripetibile, mitico.”
Nella Germania nazista, l'opera di Sander comincia a destare sospetti e ostilità, poiché le sue fotografie ritraggono un popolo tedesco con caratteristiche lontane dall'ideale ariano promosso dal regime. Ben presto, i nazisti irromperanno nel suo studio e distruggeranno gran parte del suo lavoro. Tuttavia, per ignoranza del processo fotografico, non elimineranno i negativi, che Sander riuscirà a conservare. Dopo la guerra, l’artista riprenderà in mano quei preziosi negativi, continuando la sua missione di documentare la realtà autentica della società tedesca.
Giovanni Ghetti, Leda Bagnara, Maria D'Antonio e Matilde Raffoni