EUGÈNE ATGET
(1857-1927)
Atget è un fotografo francese nato nel 1857 che solo già quarantenne inizia la sua carriera fotografica. Ci parla di vita quotidiana e di una Parigi non convenzionale.
I surrealisti trovavano nelle sue fotografie riflessi misteriosi, apparizioni inspiegabili e scritte ambigue, in linea con la loro poetica. Queste portano Man Ray ad acquistare alcuni suoi scatti e a pubblicarli nella rivista “Le Révolution surréaliste” facendo promessa di mantenere l’anonimato di Atget.
Man Ray vedeva nelle fotografie di Atget uno stile nuovo ed inedito tanto da definirlo anti-pittorialista. Gli scatti di Atget rivelano un osservatore impassibile che trova bellezza e valore anche nei dettagli apparentemente insignificanti.
Le fotografie di Atget sono fotografie documentaristiche ma non scontate e banali infatti trasferitosi a Parigi il suo scopo è quello di decodificare questa città. Vuole raccontare una Parigi sconosciuta, marginale e non stereotipata. È qui, infatti, il suo collegamento con la poetica surrealista, alla ricerca quindi di un qualcosa di meno noto, abbandonando la rassicurazione di vedere il già visto per cercare un qualcosa di inedito. Scorci anonimi, strade secondarie, edifici senza pregio, botteghe dei quartieri sconosciuti. Il suo occhio rimane freddo, apparentemente distaccato come se fosse una macchina. Senza un cedimento all’immagine facile, senza traccia di autorialità. Anche Susan Sontag descrive la sintonia perfetta di Atget con la poetica surrealista per il suo “atteggiamento inflessibile, egualitario di fronte a qualsiasi soggetto”.
Atget ci presenta una Parigi di serie B, che rompe con le tradizionali vedute della Tour Eiffel e degli Champs-Elysées preferendo a queste, vetrine di negozi in vie secondarie. Allo stesso modo predilige carrozze che vanno scomparendo, alle automobili che sono un segno del nuovo che avanza. Abbassa quindi l’aurea della fotografia fino al grado zero, ne è la prova la sua predilezione verso mondi quali istituzioni storiche piuttosto che la connessione con la fotografia d’arte.
Vediamo un Atget fotografo che si muove all’alba per immergersi nella Parigi deserta, evidenziando così spazi e forme del luogo non contaminate dalla presenza umana. La descrizione perfetta delle sue passeggiate prende il nome francese di Flâneur ovvero la camminata per le strade senza una meta voluta, il vagabondare senza un obiettivo in mente, osservare.
Le passeggiate parigine di Atget sono paragonabili ai nostri odierni album fotografici, ovvero pezzettini che ricostruiscono un momento della nostra vita, che è riproducibile solo nel pensiero, dei ritagli di vita ripetibili solo nella nostra memoria.
“Atget fotografava le vie come si fotografa un luogo del delitto” (W. Benjamin)
Benjamin definisce la fotografia di Atget come documenti di prova del processo storico, ovvero Atget è come se fosse di fronte al luogo di un delitto, un luogo vuoto e privo di uomini e dal quale bisogna ricavare indizi. Atget non tralascia nulla, vuole dire tutto con la visione più neutra possibile, evitando la creatività che distrae ma creando uno scatto documentativo.
Eco commentando l’Ulisse di Joyce parla di Epifania, ovvero un qualcosa di insignificante che prende vita, l’improvvisa rivelazione dell’essenza di una cosa. Allo stesso modo gli scatti di Atget danno valore ad aspetti marginali della città e della vita parigina, paragone chiaro con una vita apparentemente insignificante che racconta Joyce.
Nei primi anni del 900 vediamo una rivoluzione fotografica, dove si passa dal non dar significato e valore ad una vita quotidiana a rimettere la vita dentro l’arte ovvero la vita diventa materiale primo dell’arte.
Giovanni Ghetti e Leda Bagnara